Lancio sassi dal cavalcavia: cosa rischiano i balordi assassini?

Il 29 dicembre 1993 tra le 00.30 e le 01.00 passando sotto al cavalcavia Gardesana dell’autostrada del Brennero vicino a Verona (Italia) Monica Zanotti, 25 anni, impiegata viene colpita da un sasso di 15 chili. Morirà poco dopo l’arrivo all’ospedale policlinico di Verona. Il 9 gennaio 1994 vengono arrestati tre giovani con l’accusa di omicidio volontario e di attentato alla sicurezza dei trasporti pubblici. Tutti rei confessi. Marco Moschini, 19 anni, falegname, ha raccontato di avere gettato il sasso. Davide Lugoboni, 18 anni, all’epoca in servizio di leva. Riccardo Garbin, 19 anni, operaio.
Motivo: nessuno.

In questi ultimi giorni si stanno le forze di polizia stanno cercando un altro gruppo di balordi assassini, tutti responsabili di un lancio di un sasso di una decina di chili e dell’assassinio sull’A1, poco prima del casello di Frosinone.

Ed episodi di “imitazione” stanno ripetendosi un po’ in tutta la penisola a danni di auto, autobus e treni.

AUMENTARE LE PENE, UNICA SOLUZIONE

Ecco cosa è stato fatto per attenuare il fenomeno: numerazione dei cavalcavia della rete stradale italiana; elevazione delle recinzioni; videosorveglianza in autostrada.

Ed ecco che cosa si può fare ancora, secondo gran parte dei mass media: installare altre telecamere; illuminare le campate dei cavalcavia; educare i ragazzi; aiutarli a superare la fase di disagio giovanile.

La soluzione, inoltre, si chiama pene certe e sicure, fino all’ergastolo. Chiedete ai familiari delle vittime che cosa ne pensano.
Fin quando una disgrazia non ci tocca, non sappiamo davvero quanto se ne può soffrire.


COSA RISCHIANO I BALORDI CHE LANCIANO OGGETTI?

Ricordiamo che la i 4 assassini della banda della Cavallosa, che uccise il 26 dicembre 1996, Maria Letizia Berdini (foto),
sono a tutt’oggi in carcere per scontare una condanna a 18 anni e 4 mesi di reclusione, con una sentenza della Corte d’Appello di Torino confermata in Cassazione il 4 luglio 2001.

Dopo 10 anni di carcere Paolo Bertotto, cugino dei fratelli Alessandro Furlan, Franco Furlan e Paolo Furlan, potrebbero però presto ottenere il permesso di uscire dal carcere di Ivrea, avendo già inoltrato istanza ai magistrati di sorveglianza grazie alla buona condotta.

Raggiunti i due terzi della pena, potrebbero lasciare la cella, come già successo per un altro uccisore condannato con sentenza definitiva: parliamo di Riccardo Garbin, uno degli assassini di Monica Zanotti, 25 anni, centrata da una pietra scagliata da un cavalcavia della A22 nei pressi di Bussolengo, la notte del 29 dicembre 1993. La giovane di 25 anni stava rientrando a casa, col fidanzato, la notte del 29 dicembre 1993 dopo una festa. La pietra squarcio’ il tettino dell’auto e fini’ sulla nuca di Monica.

L’assassino, che deve scontare una pena a 15 anni di reclusione, aveva affrontato il processo insieme al complice 15enne, Davide Lugoboni, ed al lanciatore materiale, Marco Meschini, che all’epoca aveva solo 16 anni. Garbin ha convinto i magistrati di essere pentito, e questo gli ha anticipato la libertà, prevista in via definitiva nel 2007.

Ma quale vita attende questi individui all’uscita del carcere?
E si pongono la domanda di cosa pensino di loro i loro familiari più stretti? Le loro amicizie di un tempo? Le persone che li incontreranno in futuro?
Come penseranno (se pensano) a ripagare per un delitto che ha sottratto la vita a persone innocenti?

COSA DICE LA LEGGE?

Per atti di questo genere siamo di fronte ad un attentato alla sicurezza dei trasporti (articolo 432 del Codice Penale), che può diventare omicidio (articolo 575 del Codice Penale) o strage (articolo 422 del Codice Penale). Siamo dunque ben lontani dal semplice lancio pericoloso di oggetti, tanto che in condizioni di flagranza il Pubblico Ufficiale potrebbe addirittura fare uso legittimo delle armi (articolo 53 del Codice Penale) qualora il lanciatore non desistesse immediatamente dal proposito, visto che questa conditio sine qua non fa appunto menzione alla consumazione di delitti di strage, di naufragio, di sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.

Sulla gravità del delitto, del resto, non ci sono nemmeno più dubbi, visto che anche la Corte di Cassazione, con la sentenza 5.436 del 25.01.2005, ha ormai sancito che chiunque effettui un lancio di oggetti verso un veicolo con l’intento di colpirlo, commette il delitto di tentato omicidio, oltre che — come detto — attentato alla sicurezza dei trasporti.

Il principio è stato affermato lo scorso 25 gennaio, in occasione della condanna definitiva a 4 anni e 4 mesi di reclusione nei confronti di un 30enne di Alessandria, colpevole di aver lanciato, il 7 luglio 2003, una pietra di 3 chilogrammi da un cavalcavia.

Quel gesto, che definire folle sarebbe riduttivo, non ha avuto conseguenze gravi, ma è bastato per convincere i giudici che la volontà era quella di uccidere qualcuno, non importa chi. Simone Marangon, questo il nome del cecchino, venne arrestato poco dopo il lancio proprio sul cavalcavia, dove era tornato per recuperare un paio di occhiali da sole smarriti. Ad inchiodarlo, numerosi testimoni, compresa una propria insegnante: “…il lancio dei sassi da un cavalcavia seppur non diretto, in ipotesi, a colpire singoli autoveicoli, è idoneo, per la non facile avvisabilità degli oggetti che cadono all’improvviso dall’alto o che comunque siano già giunti al suolo sulla carreggiata mentre i conducenti sono intenti ad osservare le macchine che precedono e seguono e per la consistente velocità tenuta generalmente dai conducenti in autostrada, a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve intendersi diretta la volontà dell’agente”